Silenzio in cucina

scritto da Mudita
Scritto 24 ore fa • Pubblicato 10 ore fa • Revisionato 10 ore fa
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Uno stream of consciousness ispirato a un recente fatto di cronaca nera che mi ha prima spiazzato e poi amareggiato.
- Nota dell'autore Mudita

Testo: Silenzio in cucina
di Mudita

E lei stava lì, che mescolava il dal con la spatola come se niente fosse, come se la casa non avesse muri che sussurrano, come se la gente stessa non sussurrasse o meglio parlasse, ma parlano eccome, oh se parlano, la tua bambina è una stella, dicono, e quello che non mi dicono in faccia lo continuano tra di loro. E lui, lui cos’è esattamente, lui che vive nella sua casa, con i suoi soldi, con la sua gloria… e ogni volta che passo in paese o giù al bazaar non sono io quello che vedono, ma l'ombra dietro di lei, l'uomo senza mestiere, senza scopo, senza avvenire e non importa quanto hai fatto per crescerla, non importa che hai venduto la moto, il sangue delle tue mani sulle corde del campo che hai montato tu, col sole che picchiava mangiandoti la pelle, no, non importa, importa solo che lei ha vinto e tu no, e adesso ti dicono che la figlia ti mantiene, che sei un peso, un cane al guinzaglio, che anche se è dorato resta comunque un guinzaglio che ti trattiene e quasi ti strozza, e lei non dice niente, non dice mai niente, continua a mescolare il dal, il ghee che si scioglie e i fagioli che borbottano, e tu, tu cosa sei adesso, sei un padre o un'ombra, sei uomo o zerbino.
Il padre entrò in cucina alle dieci e venticinque del mattino, sembrava quasi che l’orologio lo avesse guardato con un’aria severa, come fanno gli orologi con chi si sveglia troppo tardi o troppo presto, ma lui non badava più al tempo, non contava più i giorni  né tantomeno le settimane, contava solo le parole che gli altri dicevano, e anche quelle che non dicevano, anzi soprattutto quelle. La figlia era lì, davanti al fornello, nella handi il dal borbottava sprigionando l’odore di ghee e spezie, aveva legato i capelli come sempre, come quando aveva quattordici anni e correva nei tornei regionali con le ginocchia sbucciate e la racchetta che costava quanto due mesi di stipendio, e lui gliel’aveva comprata, a suon di sacrifici e privazioni, sì gliel’aveva comprata e nessuno può dire il contrario, nessuno ha mai detto grazie, però, almeno non da adulta, che da quando è diventata famosa non dice più grazie, offre, compra, sistema, parla con la voce di chi ha già deciso, ma a lui nessuno toglieva la dignità, quella dignità che è sempre stata alla base del suo essere uomo, lavoratore, parte di una casta.
E padre. Nessuno gliela prende, gliela sta prendendo adesso però, guarda, anche lei, anche lei che non dice niente mentre rimesta il dal come se nulla fosse, che non chiede se dormi, se mangi, se hai sentito che il vicino ti ha chiamato parassita, lo sanno tutti, lo dicono tutti, che vivo con lei, che campo dei suoi soldi, quando lei era piccola mi dicevano che era brava perché aveva un padre severo, che con disciplina, struttura e sacrifici sarebbe diventata una grande atleta, e ora mi dicono che è brava nonostante me, che schifo di paese, che schifo di mondo, e anche lei, lei che adesso ride con quei ragazzi lì, quelli che le scrivono su Instagram, sì li ho visti i video, li vedo anche se crede che non li vedo, ride in macchina, mostra i campi, mostra gli allenamenti, mostra la casa, mostra me che passo dietro con la vestaglia addosso e dicono guarda il padre mantenuto, il fantasma, il parassita, il re delle comparse.
Il padre si sedette senza rumore, aveva la pistola nella tasca destra, una vecchia revolver che non aveva mai usato, che teneva per ricordo e per paura, ma adesso la paura non c’era più, lei con un gesto attento e gentile aveva travasato il dal dalla handi alla pentola a pressione, all’inizio c’è solo silenzio in cucina, lei di spalle al padre, lui seduto con la pistola nella mano sotto al tavolo, il coperchio si chiude con uno scatto metallico, la pentola vibra leggermente sul fornello, il vapore esce a colpi ritmati pssh…pssh…pssh…
La figlia si voltò appena, disse vuoi dal anche tu papà, e lui pensò sì, ma un altro dal, un altro giorno, un altro padre, un’altra vita, non più questa, pensò che no, non voleva più niente, solo che smettessero di guardarlo come si guarda un uomo piccolo, e se non poteva essere grande, e mai lo sarebbe stato, almeno sarebbe stato l’ultima cosa che lei avrebbe visto. E allora si alzò, la mano tremava, non per il peso della pistola, ma per quello che significava, nessuno ti rispetta se non hai paura di farti rispettare, nessuno ti ama se non lasci un segno, un segno profondo e indelebile, e quel segno fu un lampo, uno sparo, poi un altro, un altro sbuffo dalla pentola pssh…la stessa pentola che assieme a lei cade, si riversa sul pavimento e il dal si disperde al suolo e si mischia col sangue. Poi più nulla, silenzio in cucina, silenzio in tutta la casa, il padre in silenzio, immobile, non trema più, è un silenzio lungo, troppo lungo per essere reale.

Silenzio in cucina testo di Mudita
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